Benkelema è un canto di pace, un rap con parole forti, in rima, capaci di  arrivare a chiunque.  E’ il nome dei sogni di cambiamento di ragazzi nemmeno maggiorenni. Versi potenti che arrivano da Bologna. È la vita narrata da un rap di ragazzi ospitati dal Ceis al Villaggio del Fanciullo, che accoglie quaranta minori nell’ambito del sistema SPRAR.

Il progetto è nato da un laboratorio di inclusione culturale, con a modello quella scuola di don Milani, inclusiva, aperta, capace di comunicare e fondarsi sulla comunicazione, per arrivare anche ai soggetti più deboli. Così si sono succedute le riprese di Benkelema per le strade di Bologna coi video-maker Gisella Gaspari e Gabriele Marchiani e la sala di registrazione, con il produttore musicale Pecos.

Benkelema è una parola che profuma di Mediterraneo.

Nella lingua bambara parlata in Mali traduce un concetto semplice, genuino, lo stare in pace e insieme. Adam che ha contribuito alla realizzazione del video spiega che fare Benkelema nel suo paese significa risolvere i problemi, conflitti tribali. “Noi vogliamo vivere in pace, non portiamo via niente a nessuno” – dichiara.

Sono ragazzi che hanno lasciato i loro paesi, le loro città, storie di mare e barconi, di primavere sfiorite e sogni occidentali da rincorrere. Sono la storia che hanno messo in versi e poi musicata che fa comprendere la situazione che viviamo e quella che ragazzi adolescenti hanno la pretesa di mutare.

Siamo qui per vivere e amare, non solo per crescere e studiare (Princewill)

Ci si accorge dai loro sorrisi, dalla loro fierezza quanto importante sia fare Benkelema, stare in pace, insieme, risolvere controversie e litigi inutili. È un rap di pace e per la pace. Racconta del profumo di libertà del primo giorno di arrivo in Italia, quando la nave viene ancorata e il mare è calmo, bello e non fa più paura. Emigranti, come i nostri connazionali quando si partiva per la Svizzera con valigie di cartone. I ragazzi hanno sogni, forse utopie che si sono portati in valigia e che hanno voglia di aprire e coinvolgere chiunque.

Hardi e Ibra, gli autori della canzone Benekelema che ha invaso YouTube, dichiarano: “Abbiamo cercato il modo migliore per dire cosa abbiamo dentro, per esprimere i nostri desideri. Attraverso la musica ci si capisce, è più semplice per tutti”.

Voglio cambiare la parola razzismo, perché è cattiveria e solo egoismo (Modou)

Orgoglio, felicità ed emozione che si scontrano inevitabilmente con la paura, la diffidenza dietro l’angolo. Il razzismo dilagante che cerca di impossessarsi della passione di questi ragazzi. Sono gli occhi e il ciuffo ribelle di Princewill e poi quelli di Modou a dare nuove speranze. Cantano, cantano forte.

La vita è un viaggio che non finirà, vogliamo una forza che non ci stancherà. È una strada, ci vuole coraggio perché il male è solo un passaggio.

Sono ragazzi che guardano al futuro, a cui manca la propria città, la propria famiglia proprio come i tanti ragazzi universitari che popolano Bologna. Vogliono diventare avvocati, youtuber, medici. Chimere in balia delle onde, sogni che hanno attraversato il mare,  e che ora da più di un anno, dopo lo sbarco in Sicilia sono sotto protezione umanitaria.

Quell’ombra che ha incupito l’Italia fa paura inevitabilmente, sbaraglia diritti, civiltà e quanto conquistato, e preoccupa molto, soprattutto don Giovanni Mengoli, presidente del Ceis. Con il decreto Salvini il loro futuro diviene molto fragile. “Avranno meno possibilità di realizzare i loro sogni” – spiega.

Intanto però risuonano nelle orecchie i versi del Benkelema, si canta la pace, la passione, la voglia e quella forza che è dentro le costole di ognuno di questi ragazzi, navigatori in cerca di futuro stabile. Il loro e il nostro, che diviene invece sempre più incerto, cupo.

Benkelema insegna. Si rivolge ad ognuno di noi, ci chiede possibilità di umanità e di solidarietà.

Comprendere le storie del genere umano, eliminare fili spinati mentali, essere in pace, per la pace. Come il rap dei ragazzi venuti da terre lontane, dal mare in cui spesso lanciamo i nostri desideri, sono ragazzi veri costruttori di pace.

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Riguardo l'autore

Giovanna Nuzzo

Vent'anni, radici nel Salento ma trasferita a Bologna dove studia per diventare giornalista. E' impegnata nel volontariato da quando aveva quattordici anni con un'associazione locale. Da qualche anno insegna italiano in una scuola per migranti e rifugiati politici di Bologna. Vive di passi, viaggi e sorrisi. Con il cuore a Sud, sogna di tornare nel suo paese e vivere di quello che sarà il suo lavoro.

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