A Magliano di Tenna, nelle Marche, il GUS, Gruppo Umana Solidarietà, ha dato vita ad un laboratorio di recupero di uno dei più antichi mestieri artigiani: una sartoria sociale e vincente, dove i protagonisti sono i migranti del posto.
Filo, ago e stoffe, poi precisione e abilità. Dietro alle macchine da cucire, questa volta però non ci sono le nostre nonne. E non ci sono nemmeno le grandi macchine di una delle industrie più inquinanti del nostro secolo, ossia quella della moda. C’è un girotondo di comunità, mani che si uniscono e si passano storie, gessetti e vissuti. È così che è stata pensata la sartoria sociale di Magliano.
Sartoria sociale: un progetto del Gruppo Umana Solidarietà
Grazie a un progetto specifico, volto al recupero di antichi mestieri, promosso dal GUS che gestisce il locale progetto S.I.P.R.O.I.M.I. per l’accoglienza dei migranti, una delle più antiche arti del nostro Paese torna a rifiorire. E così nel cuore del centro storico di Magliano, è stato allestito un piccolo laboratorio di sartoria sociale e artigianale. Per tre pomeriggi alla settimana, alcuni beneficiari del progetto del Comune di Magliano e di Falerone si incontrano per apprendere i trucchi del mestiere.
Il laboratorio è aperto a tutti e sta riscuotendo enorme successo, tanto che gli operatori del GUS stanno pensando di promuovere una struttura permanente al servizio della comunità. “Un modo per imparare un mestiere che sta rischiando di scomparire ma che sembra stia suscitando anche un rinnovato interesse da parte del mercato del lavoro”, spiegano gli organizzatori.
La sartoria sociale di Magliano si colloca al centro di un progetto di inclusione sociale, volto a rendere parte attiva della comunità donne e uomini migranti del posto.
Le tecniche di un nuovo mestiere, la convivialità: tessuti sociali che si intrecciano e che si aiutano. E creano anche economia.
La sartoria sociale può diventare con il tempo un servizio per il territorio e un lavoro per chi scappa da guerre e miseria, ma soprattutto una nuova opportunità per rinascere. È così che i progetti di accoglienza possono essere inclusi in un’ottica più ampia, che guarda con concretezza al futuro.
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