Nel colosso siderurgico dell’acciaio più grande d’Europa e nel suo stabilimento maggiore, quello dell’Ex Ilva di Taranto, il Covid-19 e la paura dell’esplosione di un focolaio si aggiunge ai problemi già molto noti. L’aria che si respira non piace nemmeno agli operai, come racconta chi, la grande crisi, la vive da sempre sulla sua pelle. Alle tute blu dell’Ex Ilva, d’altronde, lavorare nell’incertezza e nella paura è cosa assai normale. Un operaio, che vuole rimanere anonimo, lavora nel settore dell’automazione da decenni. “O imbracciare le armi o fare l’operaio per l’Ilva”, queste erano le alternative possibili quando ha iniziato a lavorare. E a lui il lavoro piace e tanto, l’aria che respira, invece, molto meno. Chi entra in questa grande azienda, rimane, prima per iniziare con i primi lavoretti, poi per sfamare i figli e la famiglia.

Lo stabilimento a Taranto copre una superficie complessiva di oltre 15 milioni di metri quadrati, estendendosi per almeno tre quartieri della città, cresciuti tra altiforni e acciaieria. Prima Italsider, poi passata nelle mani dei Riva, e nel 2012 la grande crisi e le inchieste, perché i tassi di tumore e i decessi troppo elevati iniziavano a insospettire. E quindi perizie, indagini, poi sequestri delle aree a caldo, gli interventi politici e i commissariamenti. Per ultimo, nel 2016, si apre un’altra fase di accordi con l’assegnazione ad ArcelorMittal, e i relativi problemi recenti sullo scudo penale sì o no, ma ad oggi, di fatto, resta un bagaglio di incertezza. Sullo sfondo, invece, una città che chiede da sempre di riesaminare le priorità, in sintesi implora salute.

Oggi, scoppiata l’emergenza Covid-19 e ad un passo dall’avvio della fase 2, dopo il primo contagiato tra gli operai, i sindacati hanno chiesto di ridurre fortemente la forza lavoro per limitare al minimo le possibilità di ulteriori contagi. Il 3 aprile scorso è caduto il divieto per ArcelorMittal di commercializzare l’acciaio prodotto, divieto emesso dal prefetto di Taranto nell’ambito delle misure per il Coronavirus, ma per i sindacati questo sembrerebbe essere decisamente un passo indietro. Attualmente lo stabilimento marcia con quattro impianti, impiegando mediamente più di 4000 lavoratori, provenienti da tutto il meridione, come racconta lo stesso operaio. Da alcuni giorni si vocifera come riuscire ad applicare un visionario protocollo di sicurezza della Ferrari a tutte le imprese, fabbriche e aziende della nazione, ma intanto le paure degli operai che continuano a lavorare, rimangono tali.

Innanzitutto, da quanti anni lavora nel siderurgico? Quali sono le sue mansioni?

“Lavoro nel siderurgico, nell’Ex Ilva a Taranto, da ottobre del 2001 e curo l’automazione. Puliamo la parte strumentale e il software, i dispositivi di automazione degli impianti”.

ArcelorMittal come sta affrontando questa emergenza? Le misure prese sono considerate da voi lavoratori efficaci? E quali dispositivi di sicurezza sono messi a vostra disposizione?

“L’azienda sta attuando le procedure che sono state emanate dal ministero per tutti i lavoratori. Inoltre è stata attuata la cassa integrazione Covid per limitare il numero di dipendenti all’interno dello stabilimento, nell’ambito della turnazione. Ci sono state fornite dall’azienda mascherine, gel disinfettante, insomma tutto ciò che prevede la normativa. Si seguono le varie direttive già negli spogliatoi e rispettiamo la distanza di sicurezza di almeno un metro”.

Attualmente com’è gestita la forza lavoro? Quanti sono gli operai in cassa integrazione?

“La forza lavoro è gestita più o meno sul 50%, la maggior parte dei reparti sono stati distribuiti in turni ridotti. Questo a differenza della situazione precedente allo scoppiare del Covid, dove, invece, gli operai si dividevano in normalisti e turnisti. Per limitare il numero dei dipendenti, anche i normalisti sono stati suddivisi in turni, così facendo viene diminuito il numero dei dipendenti per settore, e in più viene applicata la cassa integrazione per ridurre il numero delle persone che lavorano nello stesso turno. Quindi l’azienda sta viaggiando a regime minimo a livello di forza lavoro e dipendenti”.

Qual è il piano di produzione in vigore? Tutti gli impianti operano allo stesso modo?

“No, c’è stata una forte riduzione anche per quanto riguarda la produzione. Ad oggi, almeno nel mio settore, è  stata chiusa un’acciaieria e un altoforno, ma altre sono le riduzioni nel resto della filiera, essendo questa molto estesa”.

Quindi vi sentite tutelati? Anche dal punto di vista sindacale?

“In realtà è sempre una roulette russa, perché lavorare per noi non è assolutamente come essere chiusi in casa. A lavoro si entra necessariamente in contatto con altre persone, tocchi oggetti che hanno toccato decine di persone. Quindi in linea di massima sì, possiamo dire di essere tutelati per quanto riguarda questa emergenza sanitaria. I sindacati, invece, si sono attivati il mese scorso per l’attuazione della cassa integrazione Covid, c’è stata anche una riunione con il prefetto di Taranto per gestire al meglio tutto il settore del siderurgico, essendo un’azienda fuori dal normale per numero di dipendenti e estensione. L’Ex Ilva è una multinazionale, quindi abbraccia anche dipendenti dell’Italia intera. A Taranto ci sono dipendenti che provengono da tutto il meridione, dal barese fino ad arrivare a Lecce, ma anche zone della Basilicata, e questo solo per dipendenti fissi giornalieri. Un focolaio all’interno dello stabilimento si potrebbe rilevare un disastro perché potrebbe estendersi in più zone, non solo a Taranto. Fortunatamente ad oggi ci sono stati solo due contagi, nonostante la grandezza dell’azienda. Non sappiamo se è per fortuna o bravura, diciamo un insieme di concause!”

Cosa significa per te lavorare a Taranto e per l’Ex Ilva?

“Innanzitutto per me lavorare a Taranto e per l’Ex Ilva è stata una scelta obbligata, forzata. Da noi, quando ho iniziato, o si lavorava all’Ilva o si sceglievano le forze armate. Non c’era alternativa, nessuna scelta, come non c’è tuttora tanta scelta. Quindi io ho scelto quel ramo e sono rimasto a lavorare nello stesso posto da ormai quasi vent’anni. A me piace come lavoro, non mi piace l’aria che si respira purtroppo,ma questo già si sa”.

Per concludere e lasciarci come al solito con un messaggio di positività, cosa ti aspetti per il tuo futuro?

“Mi aspetto solo che il problema dell’Ilva venga preso realmente di petto, e non come fatto fino ad ora. Devono essere abbattute le fonti inquinanti, e questo vale sia per i cittadini di Taranto e per tutta la popolazione, ma anche per noi lavoratori”.

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Riguardo l'autore

Giovanna Nuzzo

Vent'anni, radici nel Salento ma trasferita a Bologna dove studia per diventare giornalista. E' impegnata nel volontariato da quando aveva quattordici anni con un'associazione locale. Da qualche anno insegna italiano in una scuola per migranti e rifugiati politici di Bologna. Vive di passi, viaggi e sorrisi. Con il cuore a Sud, sogna di tornare nel suo paese e vivere di quello che sarà il suo lavoro.

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